Ciao a tutti. L’assenza forzata è stata in parte causata da un periodo di mancanza d’idee, di quella crisi creativa che può colpire diversamente sia gli scrittori che come me, un blogger che ha la passione per la scrittura e la condivisione delle idee. La fotografia in questo caso non ha nulla a che fare con tale condizione, per cui ho sorprendentemente lavorato fino a questo sabato. Mi sento semplicemente e fottutamente buttato giù di morale. Settimane fa, rientrato un sabato sera a casa dopo una lunga giornata di lavoro, ho avuto un lampo di consapevolezza: uno di quei ceffoni che la mia mente addormentata mi rifila quando decide si svegliarsi dal letardo. Il tutto causato da ben due fatti che mi hanno gettato a terra: la prima, ed a essere sincero, era già avvenuto, è stato trovare sui social foto di una bellissima tavolata con molti colleghi, gente con cui lavoro quotidianamente, una cena fra amici a cazzeggiare e ridere. Tutti ma proprio tutti… tranne io! Neanche uno straccio di invito, né di ultima chiamata. Zero! La seconda è stato l’ennesimo NO di una donna alla domanda se fosse interessata ad uscire con me. Che poi, ironia della sorte, è stata lei a contattarmi attraverso una di quelle chat per cuori solitari che ho installato nel mio smartphone ma che uso di rado. Uscita bella, simpatica e e sincera. Sono stato attento a non essere troppo chiacchierone, sincero o stronzo. Volevo metterci un po’ di mistero. Sembrava fatta ed alla richiesta di una seconda uscita la doccia fredda e non scherzo, mi ha proprio risposto così: NO, sei caro ma cerco qualcos’altro, non prendertela. Il resto delle sue parole sono state un vento indistinto. Non ho più sentito nulla. Il mio viso si è rannuvolato. La mia anima scoppiava d’ira. Sì, perché della cena super costosa non ha battuto ciglio e anzi, si è abbuffata di gusto! Il colmo è stato che voleva essere riaccompagnata a casa sua. Con grande educazione e stringendole la mano (col guanto che tanto lei detestava), le ho detto che non potevo accompagnare chi mi aveva sfruttato. Non so come cazzo mi sono venute in mente queste parole ma sono realmente uscite dalla mia bocca. Voltandomi lo lasciata da sola fuori dal locale. Che ribadisco, non solo ho dovuto prenotare il posto con una settimana di anticipo ma era pure salato. Ma in questo caso il locale è stato scelto da me. Quindi, nulla da rimproverarle.
La settimana successiva, la botta. La sveglia. La martellata sugli zebedei di quelli forti che ti fanno trasalire. Mi era già successo e di recente ero stato così male e depresso all’indomani del mio compleanno. Un sabato passato in solitudine, l’ennesimo per farmi prendere coscienza che non riesco a legarmi con le persone. Non ci riesco. Ci provo, con forza e testardaggine ma le persone poi non mi richiamano. Uscire di casa, per andare dove? Quando entrai nel gruppo dei SingleMilano, molti anni fa, partecipavo alle uscite e alle cene ma non riuscivo ad entrare in comunicazione con nessuna persona. Troppo, dannatamente troppo timido. Un calvario. Ero un fantasma. Hai visto quello lì? Quello chi? Purtroppo lo sono ancora e così mi sento. Con i colleghi che mi hanno snobbato, per l’ennesima volta, non ho nulla da rimproverarli. E’ una loro scelta. Non sono mai stato il benvenuto. Non so perché, in quanto li faccio ridere e cerco, mi sforzo di far sorridere le persone. Tutto falso. Pura e semplice che sia, la risposta è palese.
E così è arrivata la depressione perché tale si chiama quel sentimento di paura, ansia o terrore nei suoi vari gradi di accettazione; sentimento che ti introverte e che ti fa cospargere il capo della tua stessa cenere, del compiantimento e della tristezza. L’introversione è di per se stesso un coltello conficcato nel cuore. Più pensi alle tue passate sfighe e in maggior profondità scivola la lama. Il lavoro mi ha aiutato. Persino giocare alla mia amata Roulette mi ha permesso di essere disciplinato il tanto per sbloccarmi. Ma poi il sabato sera rientro a casa e non trovo nessuno ad aspettarmi. Mi sento solo perché il telefono non squilla. Li cerco io (come sempre) ma sono già occupati. Ed in questi frangenti mi domando che ne sarà di me, domani! Fra dieci, venti o trent’anni. È la solitudine del silenzio. Di parlare da solo. Di pensare nel silenzio, sapendo che non ci sarà chi ti ascolta. In questo flusso di pensiero, che esclude il presente per congelarmi nel passato e annebbiare il futuro. Sento di non poter esternare il mio sentimento nel focolare dell’intimità, semplicemente perché sono un malinconico pessimista del cactus, un maldestro codardo. Ma ho seriamente concluso, sopra una pietra tombale, la speranza? Questa esplosione depressiva di coscienza, mi dice che non è finita e che forse non lo sarà mai. Domani riuscirò a seppellirla e ritornerò al galoppo. Saltuariamente, una volta all’anno, riemerge per farmi molto, molto male. Poi la respingerò con forza, muovendo il culo, per essere meno timoroso e giù a riprovarci. Sono finito nel limbo di chi attende: non più da semplici segnali, ma apertamente. È l’indizio del crimine perfetto. Ma non posso farci nulla. Bisogna rimodellare il proprio essere, ritornare in groppa e guardare verso l’orizzonte. Si dice che le persone più sono intelligenti e più si deprimono. Vero! E il fatto che sia circondato da commentatori social ai limiti dell’inutilità sociale, mi getta nello sconforto. Il passato non potrà essere richiamato da nessuna preghiera a sé stessi ne di certo a nessun Dio o benché meglio da farmaci o droghe che saranno un macigno con una corda attorno al collo. Rimboccarsi le maniche. Non c’è alternativa. La strada davanti a noi è quella che ci siamo costruiti noi e non per divina provvidenza. Che ci piaccia o meno, bisogna proseguire con un’unica accortezza: se tali batoste ci buttano giù di morale, perché non provare a seguire un’altra via? Forse quella stradina, tutta sassi e buche, ai margini della nostra autostrada, ha qualcosa di rischioso ma migliore da offrirci.
AndreaSatta©2020