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MARS, recensione

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Ciao a tutti. Ho deciso di fare una breve recensione alla serie tv MARS, targata Netflix per il National Geographic. La peculiarità di questa serie è il mix finzione/documentario su come si potrebbe svolgere la vita su Marte, le sue problematiche sia sulla vita in un pianeta ostile e quanto emerge sulla Terra. Nonché la connessione fra quanto avviene da noi e ciò che accadrebbe lassù con interviste ad esperti, scienziati, astronauti e chiunque ci stia sbattendo la testa per risolverne gli astiosi quesiti “vale la pena rischiare la vita su Marte?”; “quanti soldi saranno spesi?”; “come permettere una vita quanto meno decente stando lontani da casa?” eccetera eccetera. Continua a leggere MARS, recensione

Facciamo la guerra, non l’amore!

WHERE TO INVADE NEXT

Grazie a Dio, dopo un lungo periodo di assenza, l’irriverente Michael Moore è ritornato in sella e come un moderno Don Chisciotte combatte da solo i suoi mulini al vento. Fatto sta che tanto fasulli non sono.

Trama: gli USA dalla seconda guerra mondiale fanno scoppiare guerre, disordini, rovesciano democrazie e monarchie per il loro tornaconto personale. Il problema è tutte le guerre da 70 anni a questa parte le ha perse (Iraq e Afghanistan sono le più recenti batoste). Non ne azzeccano una ma perseverano nella loro fantomatica lotta per portare al mondo la loro idea di libertà. Mister Moore se ne fa carico e così decide di invadere alcuni paesi europei con l’intenzione di rubar loro le migliori idee. Passando per le ferie pagate in Italia, i pasti preparati nelle scuole francesi, l’istruzione universitaria gratuita slovena, l’istruzione finlandese, il sistema di rieducazione carceraria norvegese, l’operaio tedesco al centro di tutto, la lotta portoghese alla droga, si conclude con la rivoluzione tunisina e quella femminista ed economica, nonché etica, in islanda.

Moore con il suo solito sarcasmo illustra all’america che non ha niente da perdere a “rubare” queste brillanti idee dagli altri. Il distacco fra ciò che l’america vuole esportare come modello vincente e ciò che invece si tocca con mano altrove dimostra il totale fallimento di tale modello. Gli statunitensi sono falliti e il loro sogno americano è pia illusione. Perché dunque abbracciare sistemi di vita come il TTIP, il cibo spazzatura, quando da noi ci sono eccellenze che andrebbero esportate? L’america ha un grande difetto: è schiava del consumismo. Ne è così succube che per far ripartire la propria economia deve fare la guerra altrove per poi dare in subappalto la ricostruzione a società americane.

Moore senza aprire bocca, ci dice chiaramente che siamo noi europei a doverci prendere l’onere di aiutarli. Sistema carcerario osceno e violentissimo, cibo immangiabile e pericoloso per la salute, nessune ferie o aiuti aziendali o statali, sistema medico privato e costosissimo, una guerra contro la droga persa sin dall’inizio, tutto questo ci illustra con forza, che quel modello non è da copiare, né da emulare. Il sistema militare statunitense poi è un problema per qualsiasi paese che desideri la pace. Moore ne è consapevole. Sa bene che il suo paese è sull’orlo del collasso per una crisi di nervi. Crollo ideologico nonché di coscienza dal momento che i due contendenti alla presidenza Usa sono un razzista folle come Trump ed una guerrafondaia sovvenzionata dalle multinazionali come la Clinton.

Meraviglioso la battuta finale detta da una donna islandese nei confronti degli americani: non ci vivrei in america neppure se mi pagaste. Siete folli, non avete rispetto per i vostri vicini e pensate solo a voi stessi.

Film dunque pregevole, anche se la verve caustica iniziale perde lentamente il ritmo per una visione sempre più malinconica di ciò che poteva essere la sua nazione (gli Usa) e che non si rispecchia più nei suoi ideali. La tristezza alla fine la fa da padrona. Perché l’Europa e il mondo si è inginocchiata ad un popolo che fa dell’odio la sua arma migliore? Perché lo si è spacciato come cura a tutti i mali. Una colossale bugia.

(Aggiungo io che se gli americani vogliono ritrovare un po’ di amor proprio, devono eliminare dalla vita sociale gli psichiatri, gentaglia infettata dai germi cerebrali della follia. Dove loro sono stati eliminati, la vita sociale nelle comunità è rinata. È una cosa che fa pensare).

Alla ricerca di Vivian Maier

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Già, bella domanda. Chi era Vivian Maier? È assolutamente impossibile riuscire a dare un volto completo a questa donna che per quasi tutta la sua vita ha scattato foto, registrato le sue impressioni su musicassette e fatto filmini in 8 e in 16mm, mentre proseguiva il suo mestiere di donna tutto fare? Il documentario che ho appena finito di vedere su di lei, mi ha permesso di conoscere l’immenso patrimonio fotografico che è stato fortunatamente scoperto, anche se dopo la sua morte, nel 2009.

Ma resta sempre il dilemma di una donna dannatamente sola. Così disperatamente bisognosa di affetto da non essere capace di aprirsi al mondo che la circondava… fuorché in un solo modo: con la fotografia.

Mentre indossava la sua Rolleiflex al collo, poteva essere se stessa fra la gente, anche se s’inventava un accento che non aveva, anche se indossava abiti strani o fuori moda, anche se accumulava cataste di fogli, giornali, cianfrusaglie di ogni tipo e genere, anche se a volte il suo lato oscuro della forza usciva fuori con inaspettata violenza e cattiveria, sopratutto nei confronti dei bambini.

Sarebbe finalmente contenta di sapere che il suo lavoro artistico è stato scoperto prima che finisse al macero oppure avrebbe voluto che le sue foto fossero sepolte con lei, nell’oblio? Buona parte di quanto narrato nel documentario è straordinariamente vicino alla mia indole. A un certo punto ho capito il motivo del perché nessuno ha mai sentito parlare di lei, e del suo lavoro. Io l’ho capita. Forse perché sono un fotografo, forse perché mi sono sempre sentito un’artista.

Mi piacerebbe tenervi nel mistero ma non è bene farlo, perché la gente tende ad aggrapparsi a ciò che non capisce o comprende appieno. E allora, illuminaci! Perché Vivian Maier non ha il suo nome nell’olimpo dei giganti della fotografia? Facile, non ha mai voluto osare  e non ci ha mai creduto. Possibile? Che sia questa la risposta più semplice? Si, il suo odio nei confronti dei maschi è solo un altro modo per dire che non si è mai protesa verso il prossimo, non ha mai realmente tentato di farsi conoscere, né alla gente né in nessun’altro modo. Una semplice lettera ad un tipografo francese non è una giustificazione sufficiente per dire, che voleva farsi conoscere. Vivian Maier SAPEVA di essere brava. Brava… si! Ma a chi devo bussare la porta? In questo sta la sua tristezza e allo stesso tempo la sua grandezza: NON HA MAI, MAI ABBANDONATO LA MACCHINA FOTOGRAFICA nonostante vivesse di stenti o passando da un lavoro fortuito ad un altro.

C’è qualcosa che ci accomuna, che ci lega. La voglia, il desiderio finalmente di essere un nome affermato, di non cadere nell’oblio. Con la frustrazione di vedersi scavalcati da pischelli di nessuna qualità, coadiuvati solo dalle giuste conoscenze. Quelle conoscenze che ci tengono lontani da tutto e da tutti. Vivian Maier è morta facendo quello che più le piaceva. Ma il suo unico, irreparabile danno, è stato di pensare che nessuno avrebbe apprezzato le sue foto e la sua vita.

Vivian, ti sbagli. Oggi, sei più viva di allora.

Vivian-Maier-13 med_vivian-maier-press-kit-4-jpg September 24, 1959, New York, NY port_self_portraits_bw_VM1954W02936-11-MC