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Inclusività eccessiva… ora basta!

Tanto tempo fa, dedicai un post articolato con vari esempi su come l’inclusività omosessuale nel cinema e nella tv avesse travalicato il confine del buon senso. Oggi ci ritroviamo a parlarne perché non si è superato una limes, ma sta avvenendo una vera e propria invasione, aggiungerei isterica, che non porterà a nulla di buono. Chi vi parla, sin dai primi anni ottanta ha ballato e cantato le canzoni di noti omosessuali quali i Bronski Beat, Frankie Goes to Hollywood, Pet Shop Boys, Elton John, Freddy Mercury, George Michael e più di recente dei Scissors Sister. Della serie… ma che me frega se questi artisti sono dell’altra sponda. La loro arte mi piace un botto e la ballo ancora oggi. Ciò nondimeno ero una delle poche persone che nei primi anni novanta si guardava senza alcun dilemma esistenziale quei primi e timidi film indipendenti in cui se ne parlava apertamente. Della serie… il film è bello? E allora, chi se ne frega. Li riguarderei ancora una volta.

Se fino a trent’anni fa, il tema dell’omosessualità era un tema scottante, però le storie lo affrontavano con coraggio ed una straordinaria dose di quella delicatezza e sensibilità che in questo momento storico, manca totalmente. Negli ultimi anni, l’inclusività è diventata una parola chiave nei programmi di intrattenimento, sia nella televisione che nel cinema. La rappresentazione accurata e rispettosa delle diverse identità e comunità è senza dubbio un obiettivo importante, ma negli ultimi tempi si è esagerato. C’è chi crede, ed io lo penso seriamente, che l’inclusività sia diventata una trappola invadente, un clamoroso boomerang, portando a una sovra-rappresentazione che rischia di intaccare la qualità e l’autenticità delle storie raccontate. Porterò alla vostra ttenzione alcuni nuovi esempi concreti. Prima di analizzare i punti critici, è fondamentale riconoscere l’importanza dell’inclusività nei programmi di intrattenimento; non è sbagliato inserirli, poiché può aiutare a rompere gli stereotipi dannosi, promuovere l’empatia e creando un senso di appartenenza per le persone che solitamente vengono ignorate o marginalizzate nei media tradizionali.

Tuttavia, l’inclusività a tutti i costi sta diventando soverchiante ed è sfuggita di mano. C’è una preoccupazione crescente che, al fine di soddisfare le richieste di rappresentazione di tutte le minoranze, si stia sacrificando la coerenza narrativa e si stiano introducendo personaggi e storie solo per soddisfare una quota. Ciò ha già portato alla creazione di personaggi poco sviluppati o peggio, stereotipati, che non contribuiscono effettivamente alla trama o alla qualità del prodotto finale. Tutta questa eccessiva attenzione riservata a determinati gruppi sta generando una sorta di discriminazione inversa. Ciò potrebbe portare a una sensazione di disuguaglianza per il pubblico che si sente escluso dalla rappresentazione di sé stesso o delle proprie esperienze di vita.

L’autenticità delle storie:

Un altro aspetto critico riguarda l’autenticità delle storie raccontate. L’inclusività dovrebbe essere integrata organicamente nella trama e non semplicemente inserita a forza per soddisfare un requisito. Ho avuto modo di leggere di come alcuni giornalisti sostengano che quando gli autori si sentono obbligati a includere determinati personaggi o temi solo per dimostrare l’inclusività, il risultato finale può apparire falso e forzato, danneggiando la credibilità e la qualità dell’opera.

Tutto ciò è dirompente poiché stiamo discutendo di una moda dilagante, perché tale si tratta, del politicamente corretto, dell’inclusività a tutti i costi, giungendo alla vivisezione e allo smontaggio sconsiderato di storie già consolidate invece di scriverne di nuove. Una cazzata che non capiscono a Hollywood in virtù di alcuni clamorosi flop, e che ha già portato diverse major a ripensare allo sviluppo dei propri film. L’ultimo insuccesso è Elemental della Pixar, che se pur parlando di inclusività, ho visto con piacere e che francamente, a parte un leggero appiattimento nei personaggi, lontano anni luce dalla sua età aurea, non è da meno rispetto a vari altri film. In realtà è bene precisare che grazie al passaparola il film sta diventando un poco alla volta un successo a scoppio ritardato. Luca, cartone animato del 2021 della Pixar non parla per nulla di omosessualità, ma di una grande amicizia. Bene, c’è chi ha deciso di stravolgerne la storia etichettando l’amicizia in un altro senso. Come se una splendida amicizia fra due uomini o due donne si debba necessariamente tramutare in qualcos’altro. Questi esempi si tramutano in una spinta verso il fondo.

Non resta che pensare che le major hollywoodiane siano ostaggio di contratti e pretese sindacali. Non vedo nessun’altra spiegazione a questa follia e vari attori e sceneggiatori si sono già espressi con durezza su questa moda, seguita alla dichiarazione che da ora in poi l’associazione che assegnerà i premi oscar, darà più risalto all’inclusività invece che alla qualità. Lo ripeto: UNA FOLLIA. Ho già espresso con furore lo sdegno per alcune delle più recenti premiazioni e questa novità; mi da ragione che siamo difronte ad una discesa nel ridicolo. Ad un autentico suicidio fluido e morale.

Oggi come oggi serie tv come Scrubs, Friends, Miami Vice, Twin Peaks non potrebbero esistere senza scandalosi stravolgimenti nella trama e nei personaggi. Le recenti serie tv come Star Trek Discovery, Girlboss, Another Life sono un evidente fallimento di questa politica, costringendo gli sceneggiatori, quasi con prepotenza, ad inserire personaggi e situazioni omosessuali o fluide; il risultato è davanti a tutti privandoli di un’anima autentica, di un’analisi psicologica nei personaggi, arrivando a far detestare una parte della fan page di Star Trek i giovani Adira e Grey, un intramezzo noiosissimo e privo di pathos. La colpa non è di Star Trek ma di chi scrive le storie con una pistola puntata sulla tempia. Poi non parliamo di Another Life, di una bruttezza disarmante.

Il nuovo film di Biancaneve, di prossima uscita, ha riacceso la polemica, eliminando i nani per evitare che questi si sentissero derisi. A parte che esistono vari film dove i sette nani sono stati re-inventati, vedere la nuova Biancanese, che da bavarese si è trasformata in una sudamericana con alcuni nani trasformati in gender fluid… ma veramente, era proprio necessario? Ma risulta così complicato generare nuove storie anche con l’aiuto delle intelligenze artificiali? Nell’ultimo di Cenerentola, disponibile su Amazon Prime, la Madrina non è solo un uomo di colore ma perdipiù… sì, avete capito. MA PERCHE’? E difatti il film è stato un disastro su tutti i fronti, massacrato dalla critica e dal pubblico. Non è solo colpa della “madrina” ma dell’intero stravolgimento della favola. Ma chissa come mai è stato deriso! Più di recente il film in live action tratto dal cartone animato della Sirenetta ha generato ulteriore malumore poiché da bianca con i capelli rossi (ricordiamoci che è un personaggio fiabesco ambientato nell’europa del nord), è diventata mulatta. Mi dicono che il film sia bello e non avendolo visto non posso giudicarlo. Resta il problema del ridicolo poiché si innesca un circolo vizioso che non farà altro che aumentare l’omofobia, non la fermerà.

Altro esempio di una bella storia con del potenziale, buttato via nel ridicolo, ulteriormente bistrattato da con una continua sequela di personaggi femminili che si rivelano lesbiche. Parlo di Chick Fight, gradevole commedia con Alec Baldwin e Malin Akerman. Invece di parlare di emancipazione femminile, precipita negli stereotipi trasformando una gradevole commedia in un film dimenticabile. Ecco, questo esempio mi parla di una storia che probabilmente era originariamente scritta con arguzia e coraggio, per poi venire devastata da pretese sindacali o da terze mani.

Ora arriva il mio affondo: poiché penso che non ci sia persona peggiore di quelle che a mio parere, lo ripeto, è un mio parere personale, si dichiarano THEN o qualsiasi anomalia emotiva e psicologica possa comportare riflettersi con un NULLA. O sei donna che vai a donne, o sei un uomo che va con altri uomini, e dichiararsi neutro non ha alcun senso, se non in un disturbo psichiatrico della personalità. Poi si incontrano coloro che osannato al Che Guevara come idolo per i diritti dei più deboli (visto realmente tempo fa ad una manifestazione per Milano sui diritti degli omosessuali), rei che il loro eroe è stato un ferocissimo persecutore di artisti, intellettuali e… no, non può essere! Ha veramente torturato gli omosessuali, rinchiudendoli nei campi di rieducazione? Eh già, così ci dice la storia. Eppure c’è chi maldestramente lo associa alla bandiera arcobaleno.

Le nuove regole ad hollywood costringono le aziende ad assumere un X numero di persone, precludendo la metà di chi non ne fa parte. E come ha detto una sceneggiatrice: da domani sono disoccupata! È veramente necessario copiare stile e mode provenienti dal made in Usa? Siamo veramente certi che sia un bene?

Non se ne può fare a meno? Eppure ci sono dei film non belli, di più, che trattano questo tema con forza e sensibilità. Il titolo che mi viene in mente è CHIAMAMI COL TUO NOME di Luca Guadagnino. Film del 2017, l’ho apprezzato così tanto da averlo rivisto già tre volte. Quindi queste storie ci sono, esistono e sono nuove. Forse non piaceranno a tutti, ma del resto anche il genere horror è schifato da molti spettatori, ma ha il suo seguito. La mia domanda, la domanda che mi faccio e che forse anche voi ponderate e fino a che punto si spingerà il pedale su questa pericolosa china? Non è sbagliato parlarne, ma è sbagliato abusarne. A voi la parola.